Codice della Giustizia tributaria: le impugnazioni
Come anticipato, l’articolo 88 non contiene un generale rinvio alle norme sulle impugnazioni contenute nel Codice di procedura civile, ma introduce i mezzi per impugnare le sentenze dei giudici tributari, limitandoli a reclamo o appello, ricorso per cassazione e revocazione.
Si tratta di una formula innovativa e significativa, perché palesa il carattere peculiare del processo tributario. Di conseguenza, mentre nel processo civile si intende come passata in giudicato “la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395”, nel nuovo processo tributario una sentenza è passata in giudicato quando non è più soggetta a reclamo o appello, a ricorso per cassazione o a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c.
L’art. 89, comma 1, poi, identifica chiaramente le decorrenze dei termini per impugnare le sentenze dei giudici tributari, pari a 60 giorni, che decorrono dalla notificazione della sentenza a istanza di parte (termine breve), salvo quanto disposto dall’articolo 70, comma 4, dove si legge che “anche se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, la stessa passa formalmente in giudicato se non viene impugnata entro il termine di sei mesi dalla data della sua pubblicazione” (termine lungo).
Il comma 2 dell’art.89 indica invece le decorrenze del termine dei 60 giorni relativamente alla revocazione per i motivi 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del Codice di procedura civile, individuati rispettivamente nel giorno in cui è stato scoperto il dolo o sono state dichiarate false le prove, oppure è stato recuperato un documento decisivo che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per cause di forza maggiore o per fatto dell’avversario, o ancora in cui sia passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice.
L’art. 90, infine, vuole disciplinare il richiamo integrativo alle norme del processo civile, fermo restando quanto previsto dall’art. 1, comma 3, del progettato Codice, e stabilendo chiaramente che le disposizioni di cui agli articoli 337, 340 e 361 del codice di procedura civile non si applicano alle impugnazioni delle sentenze dei giudici tributari.
Il giudizio di appello
Le nuove disposizioni sul giudizio di appello sono applicabili, ai sensi dell’art.114, comma 12, anche al reclamo avverso le sentenze emesse dal giudice di pace del tribunale tributario, in caso di mancata conciliazione preliminare per le liti minori. Tali norme ricalcano, in via generale, le disposizioni dell’art.52 e seguenti del vigente D.Lgs. n. 546/1992, ma se ne discostano in alcuni punti non trascurabili, coerentemente all’autonomia e specialità del processo tributario rispetto alla disciplina del processo civilistico.
In tal senso, quindi, l’art. 93 stabilisce che “il ricorso in appello a pena d’inammissibilità deve essere proposto nei confronti di tutti i soggetti che hanno partecipato al giudizio di primo grado“: si esclude così la possibilità di una sanatoria ex art. 331 c.p.c. e al contempo si eliminano le incertezze applicative derivanti dall’interpretazione dell’art.53, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 in rapporto con la già citata disciplina processualcivilistica.
In coerenza con l’art.46 del Codice, il termine per la costituzione in giudizio del’appellante decorre dalla data di consegna all’agente della notificazione oppure dalla data di spedizione a mezzo posta, e non dalla data di ricevimento del ricorso da parte dell’appellato; per la notifica telematica, invece, vale quanto disposto dall’art.146 del Codice.
L’art.100 ribadisce quanto disposto nel vigente art. 58, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, secondo il quale “è fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”, ma vi aggiunge, in modo significativo, la parola “sempre”.
Infine, per quanto riguarda i gravami incidentali e le riproposizioni in via devolutiva di questioni ed eccezioni, l’art.94, comma 4. stabilisce che la parte appellata può proporre, nelle controdeduzioni “appello incidentale relativamente alle parti della sentenza appellata in cui l’appellante sia risultato soccombente, anche in punto spese”, mentre l’art.97 stabilisce al comma 1 che “le questioni ed eccezioni sulle quali il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato, che non siano specificamente riproposte in appello, s’intendono rinunciate“, mentre al comma 2 precisa che “a riproposizione in via devolutiva delle questioni ed eccezioni sulle quali il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato è ammessa soltanto, per l’appellante, nel ricorso in appello, e, per la parte appellata, all’atto della costituzione in giudizio“.
Estinzione del giudizio di appello
L’articolo 102 introduce un’apposita disciplina dell’estinzione del giudizio d’appello, prevedendo che, qualora in questo grado si verifichi l’estinzione per rinuncia dell’appellante o per inattività delle parti, la sentenza di primo grado impugnata passa formalmente in giudicato.
Infine, l’art. 103 riproduce sostanzialmente l’attuale disposizione dell’art.61 del D.Lgs. n. 546/1992, secondo il quale nel giudizio di appello “si osservano in quanto applicabili le norme dettate” per il giudizio di primo grado “e “non sono incompatibili con le disposizioni” della presente sezione.