La class action è un’azione legale collettiva che viene condotta da uno o più utenti nei confronti dello stesso soggetto, con lo scopo di proteggere i diritti vantati da più consumatori.
Tale istituto ha l’obiettivo di arrivare ad una soluzione comune a più persone, di fatto o di diretto, che produca effetti “ultra partes” per tutti i componenti, presenti e futuri, della class action.
L’azione collettiva perciò permette di attivare un unico giudizio per ottenere il risarcimento di un danno subito da un gruppo di cittadini che hanno subito danni derivanti dal medesimo fatto realizzato da un’azienda scorretta.
I vantaggi delle class action, che siano riparatorie o risarcitorie, sono la riduzione dei tempi processuali e dei costi della giustizie, oltre alla garanzia di certezza del diritto e dell’efficacia ed equità del risultato.
La class action nel processo civile
A partire da maggio 2021, secondo quanto stabilito dalla L. 12 aprile 2019, n.31, la class action non è più disciplinata dal Codice del Consumo, ma dal Codice di procedura civile, all’interno del quale è stato introdotto il Titolo VIII-bis del Libro Quarto.
Grazie all’inserimento all’interno del codice di procedura civile, l’istituto dell’azione collettiva è stato potenziato, in particolare per quanto riguarda il campo di applicazione, che è stato ampliato sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, ossia sia per quanto riguarda i soggetti che possono accedervi, sia per quanto riguarda le situazioni giuridiche che possono essere portate in giudizio.
È quindi possibile agire con class action a tutela delle situazioni soggettive maturate a fronte di condotte lesive, per l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.
Inoltre, sempre grazie alla Legge n.31 del 2019, la class action, finora poco utilizzata, è stata inserita come titolo autonomo all’interno del Codice di procedura civile, in quanto strumento di tutela dei diritti individuali omogenei lesi da atti e comportamenti di imprese o gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità.
La class action può essere avviata da ciascun componente della classe, ma anche da associazioni e organizzazioni senza scopo di lucro, purché soddisfino determinati requisiti. Il giudice competente in materia è la sezione specializzata in materia d’ impresa individuata in base alla sede del resistente.
Nella class action il procedimento si articola in tre fasi, ossia:
- la decisione sull’ammissibilità della domanda:
- la valutazione della causa nel merito;
- la verifica dei diritti individuali e alla liquidazione dei risarcimenti ai singoli, con intervento di un rappresentante comune degli aderenti nominato dal giudice.
Gli interessati possono aderire sia dopo il giudizio di ammissibilità che dopo il verdetto di primo grado, utilizzando le modalità telematiche messe a disposizione sul portale del Ministero della giustizia. La disciplina inoltre prevede per il promotore dell’azione la facoltà di chiedere la disclosure delle prove e individua uno spazio per gli accordi transattivi sia in corso di causa, su proposta formulata dal giudice, sia dopo la sentenza.
Un elemento di novità è costituito dall’obbligatorietà per le imprese, in caso di condanna, di corrispondere al rappresentante comune degli aderenti e all’avvocato del promotore compensi stabiliti in percentuale dell’importo complessivo del risarcimento, sulla base del numero degli aderenti.
Infine, la Legge n.31/2019 ha inserito nel Codice di procedura civile anche delle novità in merito all’azione collettiva inibitoria, che può essere promessa da qualsiasi soggetto abbia interesse a ottenere la cessazione o il divieto di reiterazione di una condotta d’impresa lesiva di una pluralità di individui o enti.
Entrata in vigore della nuova class action
L’entrata in vigore della nuova class action, è stata posticipata con il decreto-legge n.149/2020 (c.d.Ristori-bis) e, dopo numerosi rinvii, è finalmente avvenuta il 19 maggio 2021. Tuttavia, ad oggi, non è ancora stata realizzata l’infrastruttura regolamentare, ma soprattutto tecnologica, necessaria alla partenza della sperimentazione delle prime azioni collettive previste dalla nuova legge.
Il Ministero della Giustizia, infatti, deve realizzare la piattaforma informatica che consenta agli attuali sistemi, già gravati delle attuali modalità di gestione da remoto delle udienze, di dialogare con le nuove modalità, che prevedono nuove forme di pubblicità dell’azione collettiva e il compimento di diverse attività processuali in modalità esclusivamente telematica. La realizzazione di tale portale è espressamente prevista all’articolo 840-ter, comma 2 c.p.c., ed ha l’obiettivo di garantire la reperibilità delle informazioni relative alle domande di class action. In tal senso, il portale informatico svolge una funzione decisiva, specie in merito alla pubblicità delle azioni di classe: basti pensare che l’articolo 840-quarter c.p.c dispone che, dopo 50 giorni dalla data di pubblicazione del ricorso nell’area pubblica del portale, non possano essere proposte ulteriori azioni di classe sulla base degli stessi fatti e nei confronti del medesimo resistente.
La class action nel processo tributario
Nel processo tributario non esiste una specifica disposizione normativa che consideri e disciplini la class action: l’art. 29 Dlgs n.546/1992 prevede solo la riunione dei ricorsi, mentre l’art. 2 del D.lgs n.546/1992, comma 2, dispone che I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.
Da tali disposizione consegue che si applicano al processo tributario, in quanto compatibili, anche gli artt. 103 e 104 c.p.c. in materia di litisconsorzio.
Da queste premesse si può evincere come la giurisprudenza di legittimità abbia ricoperto un ruolo fondamentale nel delineare i tratti distintivi del processo tributario in tema di ricorsi cumulativi e collettivi, andando a colmare di significato i rimandi al codice civile in materia di azioni collettive da proporre nel processo tributario. Vediamo quindi l’excursus giurisprudenziale della Suprema Corte riguardo la proposizione di class action. nel processo tributario.
Il ricorso cumulativo e collettivo nel processo tributario
Il ricorso cumulativo si distingue in:
- ricorso cumulativo proprio, ossia quello in cui il contribuente impugna contestualmente più atti impositivi emessi nei suoi confronti dall’Amministrazione Finanziaria. In tale tipologia di ricorso si possono proporre più azioni contestualmente, che possono essere diverse tra loro o della stessa tipologia, ma sempre collegate dall’interdipendenza logica fra gli atti e dall’identità dell’oggetto;
- ricorso cumulativo improprio, ossia quello in cui più soggetti/contribuenti impugnano con un unico ricorso più atti; in altre parole, è il ricorso presentato da più soggetti contro atti diversi dell’Amministrazione Finanziaria.
In ogni caso il ricorso cumulativo si differenzia dal ricorso collettivo in quanto quest’ultimo è proposto da più soggetti che impugnano, con un unico ricorso, lo stesso provvedimento impositivo che riguarda tutti.
Il ricorso collettivo perciò è presentato da più soggetti con identità di petitum e di causa petendi, da luogo ad un’ipotesi di cumulo soggettivo ed è ammissibile se le posizioni dei vari ricorrenti sono sostanzialmente omogenee e non in contrasto tra loro.
Class action del diritto tributario: l’evoluzione della giurisprudenza
Inizialmente, la Corte Suprema si è pronunciata in merito alla proponibilità di ricorsi cumulativi in ambito processual-tributario con la sentenza n. 21955/2010, ritenendo ammissibile il ricorso cumulativo proposto da più contribuenti laddove le diverse istanze siano fondate su una medesima questione di diritto.
Tale riconoscimento rientra pienamente nell’ambito della funzione nomofilattica della Cassazione, il cui scopo è fornire indirizzi interpretativi “uniformi” per cercare di mantenere l’unità dell’ordinamento giuridico – e, quindi, la certezza del diritto.
A tal proposito, è opportuno ricordare che:
- l’art. 29, D.Lgs. 546/1992 disciplina la riunione di distinti ricorsi, nel caso in cui gli stessi abbiano lo stesso oggetto o siano comunque tra loro connessi;
- l’art. 103 c.p.c. disciplina l’istituto del litisconsorzio facoltativo, in base al quale “più parti possono agire o essere convenute, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono (…)”;
- l’art. 104 c.p.c. prevede che “contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande, anche non altrimenti connesse (…)”.
I giudici di legittimità hanno quindi ribadito nella sentenza n.21955/2010 alcuni dei principi già affermati nella sentenza n. 10578/2010, in base ai quali:
- il procedimento tributario, così come delineato dal D.Lgs. 546/1992, non contiene alcuna norma in merito al cumulo dei ricorsi, prevedendo solo all’art. 14, l’ipotesi del litisconsorzio nel caso in cui l’oggetto del ricorso riguardi inscindibilmente più soggetti, nonché l’intervento, volontario o per chiamata, dei soggetti che insieme al ricorrente sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso;
- le norme del Codice di procedura civile sono applicabili nel processo tributario, in quanto compatibili con lo stesso, per l’espresso richiamo contenuto nell’art 1, co. 2, D.Lgs. 546/1992;
- sulla base dell’insegnamento delle Sezioni Unite della stessa Cassazione, l’ipotesi di litisconsorzio tributario si configura sempre che “per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria, l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, ed il ricorso, pur proposto da uno o più degli obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato” (Cass., Sez. Un. n. 1052/2007). Pertanto è la domanda “a determinare l’oggetto del processo e, quindi, a costituire, in ultima analisi, il parametro per valutare la inscindibilità della causa tra più soggetti e ciò, in quanto il processo tributario è strutturato secondo le regole proprie del processo impugnatorio di provvedimenti autoritativi”;
- il carattere impugnatorio proprio del processo tributario si risolve nella necessità di un nesso tra il singolo atto autoritativo di imposizione e la contestazione del singolo contribuente che, pur non ostacolando in linea di principio l’applicabilità dell’istituto del litisconsorzio facoltativo improprio previsto all’art. 103 c.p.c., ne limita però l’applicazione.
Nello specifico, la Suprema Corte che “se nell’ipotesi del litisconsorzio facoltativo improprio, disciplinato dalla processualistica civile, le cause possono avere tra loro un rapporto di mera affinità derivante dalla comunanza anche parziale di una o più questioni, nel processo tributario, l’indispensabilità dello specifico e concreto nesso tra atto e/o oggetto di ricorso D.Lgs. n. 546/1992, ex art. 19, e la contestazione del contribuente, richiesta invece dalla peculiarità del relativo giudizio, postula necessariamente che intercorrano, tra le cause, questioni comuni non solo in diritto ma anche in fatto e che esse non siano soltanto uguali in astratto ma consistano altresì in un identico fatto storico da cui siano determinate le impugnazioni dei contribuenti“.
Riassumendo, secondo la Corte di Cassazione, solo nell’ipotesi in cui “i provvedimenti impugnati, pur formalmente autonomi, si risolvano nel loro concreto articolarsi in un unico fatto storico nei confronti dei più contribuenti, e questi versando in un’analoga situazione muovano anche solo in parte identiche contestazioni, può ritenersi che la definizione delle questioni comuni abbia carattere pregiudiziale rispetto alla decisione di tutte le cause, così da consentire l’ammissibilità, nel processo tributario, di un ricorso al tempo stesso collettivo (proposto da più contribuenti) e cumulativo (nei confronti di più atti impugnabili)”.
Con la pronuncia n. 4490 del 22 febbraio 2013, però, i giudici di legittimità hanno superato il rigore interpretativo delle precedenti decisioni in tema di litisconsorzio facoltativo nel processo tributario e hanno stabilito la piena applicabilità in predetto processo dell’art. 103 c.p.c.
Nel dettaglio, nella sentenza n.4490/2013 la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “Nel processo tributario, non prevedendo il d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, alcuna disposizione in ordine al cumulo dei ricorsi, e rinviando il suo art. 1, secondo comma, alle norme del codice di procedura civile per quanto da esso non disposto e nei limiti della loro compatibilità con le sue norme, deve ritenersi applicabile l’art. 103 cod. proc. civ., in tema di litisconsorzio facoltativo, conseguendone l’ammissibilità della proposizione di un ricorso congiunto da parte di più soggetti, anche se in relazione a distinte cartelle di pagamento, ove abbia ad oggetto identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa”.
I giudici di legittimità hanno quindi giudicato ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti di accertamento, dovendo ritenersi applicabile nel processo tributario l’articolo 104 c.p.c., il quale consente la proposizione contro la stessa parte, e quindi la trattazione unitaria, di una pluralità di domande anche non connesse tra loro.
Tale assunto è stato confermato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 22657/2014, dove è stato ribadito che il rimando alle norme civilistiche da parte dell’art. 1 D.lgs n.546/1992- che prevede l’applicazione dell’art. 103 c.p.c. in tema di litisconsorzio facoltativo-persegue il presupposto di evitare il formarsi di giudicati anche solo logicamente contraddittori.
Nella sentenza n. 17497 del 2 settembre 2015, in tema di ricorso cumulativo i giudici di legittimità hanno in via preliminare affermato che la nozione di “causa inscindibile” di cui all’art.331 c.p.c., comprende non solo le ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, ma anche le ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, le quali si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio di primo grado.
Pertanto la Suprema Corte con la pronuncia n. 17497/2015 ha statuito che in materia di contenzioso tributario, in caso di litisconsorzio processuale, che determina l’inscindibilità delle cause anche ove non sussisterebbe il litisconsorzio necessario di natura sostanziale, l’omessa impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti non determina l’inammissibilità del gravame, ma la necessità per il giudice d’ordinare l’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., nei confronti della parte pretermessa, pena la nullità del procedimento di secondo grado e della sentenza che l’ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità.
Quanto affermato dalle prime pronunce della Cassazione è stato poi confermato decisioni più recenti.
Il Supremo Consesso nella sentenza n. 33425 del 27 dicembre 2018 ha stabilito che: “In materia tributaria è ammissibile, fermi restando gli eventuali obblighi tributari del ricorrente, in relazione al numero dei provvedimenti impugnati, il ricorso cumulativo avverso più sentenze emesse tra le stesse parti, sulla base della medesima “ratio”, in procedimenti formalmente distinti ma attinenti allo stesso rapporto giuridico d’imposta, pur se riferiti a diverse annualita’, ove i medesimi dipendano per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause, in ipotesi suscettibile di dare vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d’imposta” (Cass. n. 4595 del 2017).
Pertanto, il ricorso cumulativo è ammissibile attesa la coincidenza delle parti e delle questioni di diritto oggetto di controversia, nonché delle relative soluzioni prospettate dalla CTR.
In un’altra recente ordinanza, la n. 10150 dell’11 aprile 2019, la Corte di Cassazione ha ribadito l’ammissibilità sia del ricorso cumulativo, cioè proposto contro più atti impugnabili, sia del ricorso collettivo, cioè proposto da più parti. Unica condizione per l’ammissibilità è che il giudizio abbia ad oggetto delle identiche questioni dalla soluzione delle quali dipenda la decisione finale del giudice sulla causa.
Impugnazione cumulativa tributaria e contributo unificato
Nel processo tributario, in caso di ricorso cumulativo contro più atti impositivi il contributo unificato viene calcolato con riferimento a ciascuno degli atti e non cumulativamente in base al valore della causa.
È quanto previsto dal comma 3 bis dell’art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), modificato dall’articolo 1, comma 598, lettera a) della Legge n.147/2013 (Legge di Stabilità 2014).
La tassazione dei singoli atti ha una finalità essenzialmente fiscale che, pur contrastando con la ratio del ricorso cumulativo, ha lo scopo di velocizzare e snellire il procedimento, eliminando il rischio di contrasto di giudicati.