Nella relazione finale della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria figura, tra le altre proposte, anche l’introduzione di una previsione normativa che riconosca, con carattere di generalità, il diritto al contraddittorio procedimentale per il contribuente.
Tale proposta nasce dal riconoscimento della funzione deflattiva che una fase di contraddittorio tra ente impositore e contribuente può ragionevolmente assolvere sul contenzioso tributario, purché tale fase precede l’emissione di un atto di accertamento; oltre, ovviamente, alla manifesta espressione di civiltà giuridica che conseguirebbe dall’introduzione di tale diritto.
Diritto al contraddittorio procedimentale nel processo tributario
- rispetto ai cosiddetti accertamenti antielusivi, di cui all’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente;
- rispetto ai cosiddetti accerta menti sintetici, di cui all’art. 38, D.P.R. n. 600/1973;
- rispetto alle liquidazioni ffettuate ai sensi dell’art. 36-bis, D.P.R. n. 600/1973 e al controllo formale di cui al successivo art. 36-ter.
L’obbligo di invito al contraddittorio trova tuttavia una deroga, per espressa previsione normativa, nei casi di particolare urgenza, specificatamente motivata, oppure nelle ipotesi di un fondato pericolo per la riscossione.
Nelle intenzioni del legislatore tale norma aveva lo scopo di introdurre il principio del contraddittorio tra il contribuente e l’ufficio finanziario come “fase endoprocedimentale obbligatoria in tutti i procedimenti di controllo fiscale”.
Bisogna però sottolineare come, già dalla sua collocazione all’interno delle disposizioni finalizzate all’eventuale definizione dell’atto impositivo, così come nelle deroghe ammesse alla sua applicazione (la norma non si applica rispetto alle imposte diverse dall’imposta sui redditi e sul valore aggiunto; restano poi esclusi gli avvisi di accertamento parziale previsti dall’art. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973 e gli avvisi di rettifica parziale di cui all’art. 54, D.P.R. n. 633/1972), non sia possibile attribuire a tale norma una valenza generale che introduca il principio del contraddittorio obbligatorio.
La norma poi è inidonea a garantire pienamente il diritto al contraddittorio per il contribuente perché manifesta in maniera univoca anche in virtù del fatto che il legislatore non ha sanzionato, con la previsione della nullità degli atti, la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo. Infatti, il mancato invito per l’avvio del contraddittorio comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento solo qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri concretamente le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio.
L’articolo 12 dello Stato del Contribuente, poi, prevede il diritto del contribuente sottoposto a verifiche fiscali di comunicare, entro 60 giorni dal rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni, le proprie osservazioni in merito all’attività di verifica; tali osservazioni devono essere valutate dall’autorità fiscale, che deve darne conto nella motivazione dell’eventuale atto impositivo successivamente emesso.
Tuttavia quest’ultima previsione si pone su piano diverso rispetto a quelle che prevedono l’obbligo per gli uffici di instaurare il contraddittorio preventivo, in quanto l’iniziativa qui è rimessa alla discrezionalità del contribuente e all’ente impositore viene preclusa l’emanazione dell’atto impositivo prima del decorso di tale termine dilatatorio.
Infine, per quanto riguarda la posizione della giurisprudenza sul tema, con la sentenza n. 24823/2015 resa a Sezioni Unite la Corte di Cassazione ha escluso un obbligo generalizzato al contraddittorio endoprocedimentale per l’Amministrazione fiscale in procinto di adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, ad esclusione delle garanzie riconosciute nell’ambito del procedimento di applicazione dei tributi armonizzati per i quali tale diritto è, invece, stato riconosciuto dalla Corte di Giustizia UE.
Riassumendo, ad oggi il nostro ordinamento non prevedere una norma generalizzata che garantisca al contribuente il diritto al contraddittorio endoprocedimentale.
Tale obbligo sussiste, a pena dell’invalidità dell’atto, esclusivamente per:
- i tributi “non armonizzati”, solo nel caso in cui lo stesso risulti specificamente sancito dalla norma o dalla giurisprudenza, come nel caso degli accertamenti fondati sui parametri e sugli studi di settore;
- i tributi “armonizzati”, purché il contribuente assolva in giudizio l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e purché la presentazione di tali ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al principio generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, uno sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale.
Diritto al contraddittorio: la prima proposta della Commissione
La seconda proposta della Commisssione
In via subordinata rispetto alla proposta illustrata, la Commissione propone una modifica dell’attuale art. 5-ter del D.Lgs. n. 218/1997: in particolare, si dovrebbe eliminare il comma 2 dell’art. 5-ter, che esclude dall’applicazione dell’invito obbligatorio di cui al comma 1 gli avvisi di accertamento parziale previsti dall’art. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973, e gli avvisi di rettifica parziale previsti dall’art. 54, commi 3 e 4, D.P.R. n. 633/1972.
Tale modifica arginerebbe il ricorso indiscriminato fatto dagli uffici agli accertamenti parziali, modus operandi legittimato anche della giurisprudenza che di fatto annulla l’obbligo di contraddittorio procedimentale prescritto dal comma 1 dell’art. 5-ter anzidetto.