Quando si presenta un ricorso sui tributi è necessario procedere con il pagamento, in attesa della sentenza? È una domanda che molti commercialisti si saranno sentiti rivolgere dai propri clienti. Vediamo le possibili risposte.
Avviare una contestazione giudiziale contro una richiesta di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, oppure contro una cartella esattoriale, non evita il pagamento anticipato dell’imposta, in quanto la legge ha l’obiettivo di evitare che il contribuente, attraverso l’impugnazione, possa perseguire in modo piuttosto semplice lo scopo di allungare i tempi della riscossione. Tuttavia, per non ledere il diritto alla difesa giudiziale, il contribuente può sempre richiedere al giudice di sospendere l’efficacia dell’atto impugnato.
La questione è degna di approfondimento, in quanto proprio sulla riscossione delle imposte e dei tributi sussiste un interesse pubblico al recupero immediato delle somme dovute dai contribuenti, degno di maggior tutela rispetto ai crediti privati.
Ricorso sui tributi e pagamenti
Come anticipato, anche chi fa ricorso contro una richiesta di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate deve anticipare, in pendenza di giudizio, una parte del pagamento dovuto al Fisco. Nel dettaglio, la Pubblica Amministrazione ha la facoltà, di riscuotere, a titolo provvisorio e in via frazionata, le somme intimate al contribuente.
Il contribuente dovrà quindi versare:
- 1/3 delle somme richieste a titolo di tributi e interessi, entro il termine di 60 giorni dalla ricezione dell’atto, previsto per la proposizione del ricorso; non è invece ammessa la riscossione immediata delle sanzioni
- i restanti 2/3 di interessi e 1/3 delle sanzioni dopo la sentenza sfavorevole di primo grado
- i residui 2/3 delle sanzioni dopo la sentenza sfavorevole di secondo grado.
Pertanto, la proposizione del ricorso in Commissione tributaria normalmente non sospende la riscossione esattoriale, che continua con una diversa modulazione in base alla natura giuridica delle somme dovute. Questo significa che, anche qualora decida di impugnare l’atto impositivo, il contribuente potrà comunque subire un pignoramento, seppur parziale, ossia limitatamente agli importi frazionati come nell’elenco precedente, già prima della decisione in giudizio in merito all’avviso di accertamento. Pare ricorso, perciò, non evita la possibilità di un pignoramento dei beni come conto corrente, pensione, stipendio e così via.
Ricorso sui tributi e sospensione dell’esecuzione forzata
In presenza di alcune condizioni, però, il contribuente può richiedere, contestualmente alla presentazione del ricorso al giudice, la sospensione dell’esecutività degli atti impositivi (accertamento fiscale o cartella esattoriale) o della sentenza sfavorevole di primo o secondo grado. In tal modo non rischierà alcun pignoramento, anche se non verserà le anticipazioni previste e descritte in precedenza.
In tal modo, il legislatore ha cercato di bilanciare gli interessi in campo: da una parte, quelli del contribuente a non subire danni irreparabili a causa del pagamento di un tributo che potrebbe poi essere giudicato come non dovuto e, dall’altra, quello dello Stato al regolare pagamento dei tributi e al rispetto del bilancio.
- il fumus boni iuris, cioè l’apparente sussistenza del diritto controverso;
- il periculum in mora, ossia il danno irreparabile che il contribuente potrebbe subire qualora dovesse avvenire il pignoramento.
Il fumus boni iuris
Il fumus boni iuris consiste in una previsione favorevole circa gli esiti del ricorso, che può essere desunta da un esame preliminare degli atti, in particolare in merito alla fondatezza apparente della domanda. In altre parole, il ricorso deve apparire fondato sulla base di una valutazione sommaria, incentrata sulla documentazione prodotta.
Il periculum in mora
Il periculum in mora è invece il danno grave e irreparabile che potrebbe essere causato al contribuente dalla provvisoria esecuzione dell’atto impugnato prima che il giudice si pronunci in merito al ricorso proposto.
Il danno può rilevarsi anche nella semplice lunghezza dei tempi del processo tributario e che, perciò, sia sempre insito nel ricorso stesso. Ci sono poi diverse situazioni in grado di rappresentare il carattere di irreparabilità del danno subito. Ovviamente tra queste non è possibile citare l’incapienza del patrimonio del creditore precedente, ossia il Fisco, volta a determinare un concreto pericolo per l’esecutato che risulti eventualmente vittorioso di non poter poi recuperare le somme versate anticipatamente.
Perciò, nel processo tributario assumeranno rilievo, ad esempio, l’ipotesi in cui lo smobilizzo immediato di un certo asset immobiliare per far fronte alla pretesa erariale possa poi causare un importante deprezzamento del bene per di condizioni di vendita non adeguate. Oppure si possono citare i casi di forte esposizione debitoria del contribuente nei confronti del sistema bancario, oppure le sue condizioni reddituali precarie, o, ancora, gli effetti pregiudizievoli sulla continuità dell’attività imprenditoriale, ovviamente nel caso in cui a presentare il ricorso sia un imprenditore.