Il tema della produzione di documenti in lingua straniera e di traduzione giurata all’interno del processo tributario è stato affrontato dalla Corte di Cassazione che nell’Ordinanza n. 5279 del 17 febbraio 2022 ne ha chiarito alcuni aspetti rilevanti.
Nel caso preso in esame, un istituto finanziario aveva impugnato una cartella di pagamento, messa ex art. 36-ter Dpr. 29 settembre 1973, n. 600, con la quale, previa comunicazione di irregolarità, veniva ricalcolata l’IRES relativa al periodo 2006, oltre sanzioni e accessori.
Documenti di lingua straniera nel processo tributario
La cartella derivava da una richiesta di chiarimenti in merito al credito di imposta, risultante dall’ammontare delle imposte pagate all’estero dalla società a titolo definitivo e consistenti in particolare nelle ritenute subite sugli interessi prodotti da finanziamenti erogati a soggetti aventi residenza in Romania e che l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto non documentate.
La società contribuente deduceva il credito suddetto in relazione alle certificazioni relative ai soggetti residenti in Romania, le quali attestavano le ritenute operate a titolo definitivo e versante, come risultante dalla documentazione prodotta nel corso del giudizio.
La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso delle società, mentre la Commissione Tributaria Regionale aveva accolto l’appello dell’Ufficio, ritenendo che la documentazione prodotta dall’istituto finanziario non fosse utilizzabile, perché non prodotta in lingua italiana.
Il giudice d’appello aveva infatti ritenuto che l’obbligatorietà della lingua italiana nel processo, di cui all’art. 122 cod. proc. civ., e la facoltatività per il giudice di procedere o meno alla designazione di un traduttore per la documentazione prodotta, fa ricadere sulla parte che produce i documenti l’onere di fornirne anche la traduzione.
Pertanto, non essendo presente una traduzione giurata dei documenti, il giudice di secondo grado aveva dichiarato non utilizzabile la documentazione; a questo punto la società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo la la violazione e falsa applicazione degli artt. 122 e 123 cod. proc. civ., in merito alla parte in cui la sentenza impugnata affermava che fosse necessaria una traduzione giurata delle documentazione prodotta in giudizio e che, in mancanza di tale tradizione, la documentazione in lingua non italiana fosse inutilizzabile.
Il ricorrente ha evidenziato come il giudice di appello avesse fondato il proprio giudizio esclusivamente su un documento emesso dall’Amministrazione finanziaria rumena, nel quale si attestava la definitività delle ritenute subite, perché corredato di traduzione giurata in lingua italiana, mentre aveva ritenuto non utilizzabile la restante e corposa documentazione, ossia le certificazioni dei soggetti residenti in Romania, che attestavano l’esecuzione delle ritenute nella misura del 10%, oltre che le relative ricevute di pagamento.
Inoltre il ricorrente censurava la valutazione di inammissibilità dei documenti prodotti dal momento che, laddove la parte produca in giudizio documenti non redatti in lingua italiana, questi documenti sarebbero utilizzabili, salvo che il giudice stabilisca di nominare un interprete, dato che l’obbligo di redazione degli atti in lingua italiana riguarda gli atti processuali e non i documenti. Inoltre, il ricorrente ha osservato che la sentenza impugnata non aveva considerato i documenti inutilizzabili perché sprovvisti di traduzione, ma perché privi di traduzione giurata.
Con un altro motivo di impugnazione, il contribuente deduceva anche la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., in merito al punto in cui la sentenza impugnata aveva ritenuto di non potere utilizzare i documenti non accompagnati da una perizia giurata, in quanto tale pronuncia risultava contraria al principio processuale di acquisizione e a quello di non contestazione, non essendo la documentazione prodotta stata oggetto di specifica contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.
La Corte di Cassazione sui documenti in lingua straniera nel processo tributario
Secondo la più recente e consolidata giurisprudenza, sottolineano i giudici di legittimità, la regola dell’obbligatorietà della lingua italiana, nel processo tributario così come in quello civile, si applica solo agli atti processuali, ma non ai documenti prodotti dalle parti, relativamente ai quali il giudice ha la facoltà, ma non l’obbligo, di nominare un traduttore ex art. 123 cod. proc. civ., del quale si può anche fare a meno qualora non ci siano contestazioni sul contenuto del documento.
La nomina di un traduttore, invece, è obbligatoria qualora vi sia una contestazione del contenuto del documento.
Quindi, fermo restando l’obbligo di lingua italiana per gli atti processuali (art. 122 cod. proc. civ.), per i documenti opera l’art. 123 cod. proc. civ., secondo il quale il documento prodotto si ritiene acquisito nella lingua in cui è redatto. In merito a tele documento, il giudice ha facoltà di disporre la traduzione, sia nel caso vi sia una contestazione del contenuto, sia nel caso in cui il giudice non conosca la lingua in cui è redatto il documento originale.
Pertanto il principio di acquisizione comporta che l’omissione di una traduzione giurata allegata al documento non possa di per sé costituire una circostanza ostativa all’esame del documento, in quanto il giudice può procedere alla stessa laddove vi sia una richiesta esplicita della parte in tal senso, oppure dove ne ravvisi la necessità.
La sentenza impugnata, applicando questi principi al caso in esame e in particolare nella parte in cui si riteneva che per la produzione dei documenti fosse applicabile l’art. 122 cod. proc. civ. e che sulla parte gravasse l’onere di provvedere ad una traduzione giurata, non ne aveva fatto corretta applicazione, in quando il giudice di merito avrebbe dovuto esaminare i documenti in quanto acquisiti oppure disporre una traduzione.
Nel caso in specie, poi, il mancato rispetto del principio di acquisizione si rivelava ancora più grave, in quanto i documenti contenevano comunque una traduzione in italiano, anche se non giurata.
In conclusione, il principio dell’obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall’art. 122 c.p.c., si riferisce agli atti processuali in senso proprio e non anche ai documenti prodotti dalle parti in quanto, qualora i documenti siano redatti in lingua straniera, il giudice ha solo la facoltà, ma non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, in particolare quando le parti sono concordi sul contenuto del documento oppure quando tale documento sia accompagnato da una traduzione che non sia oggetto di contestazione dalla controparte.
In ogni caso, al di là di queste ipotesi, quando il Giudice reputi non idonea la traduzione giurata allegata dalla parte, non può decidere la causa ritenendo d’ufficio come non acquisiti agli atti i documenti redatti in lingua straniera.
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