Il nuovo art. 4-bis, D.Lgs. n. 545/1992, così come modificato dal disegno di legge di riforma della giustizia tributaria approvato dal Consiglio dei Ministri del 17 maggio 2022, prevede che per essere ammessi al concorso annuale per la nomina a magistrato tributario sia necessaria esclusivamente la laurea in giurisprudenza.
L’alternativa della laurea in economia è ammessa solo nei primi due bandi di concorso e solo ai fini dell’accesso alla riserva di posti nella misura del 15% a favore dei giudici diversi dai giudici ordinari, amministrativi, contabili o militari, che siano presenti alla data del 1° gennaio 2022 nel ruolo unico da almeno 6 anni e non siano titolari di trattamento pensionistico.
Il Consiglio dei Ministri ha quindi accolto la proposta di matrice professionale-accademica, formulata dalla Commissione Della Cananea, secondo la quale l’accesso alla funzione giurisdizionale deve essere fondato su un pubblico concorso riservato ai laureati in giurisprudenza e – entro certi limiti quantitativi e a determinate condizioni – ai giudici tributari in servizio. La proposta scartata dal Governo invece prevedeva il mantenimento della configurazione della magistratura tributaria come onoraria, bilanciando questo aspetto con l’introduzione del requisito della laurea magistrale in giurisprudenza o in economia o al titolo di dottore di ricerca in materie giuridico-aziendali per i non appartenenti alla magistratura ordinaria, amministrativa o contabile.
Riforma della giustizia tributaria, le critiche delle associazioni di categoria
Alcune associazioni di categoria hanno criticato l’esclusione della laurea in economia tra requisiti di ammissione al concorso pubblico per la selezione dei nuovi magistrati tributari, osservando come l’organo tributario così selezionato non garantirebbe le specifiche conoscenze in ambito economico, contabile e aziendale necessarie per la gestione della materia fiscale.
In particolare, l’Associazione Magistrati Tributari ha indetto uno sciopero, sottolineando “l’importanza della presenza della componente proveniente dal mondo delle professioni, in considerazione sia della natura tecnica e interdisciplinare della materia tributaria, che in assenza di un codice delle leggi tributarie” e che “la pluralità delle esperienze ha garantito un elevato grado di competenza e tecnicismo, indispensabile per l’instabilità delle norme tributarie”.
Anche l’Associazione Nazionale Commercialisti ha evidenziato “un’evidente discriminazione nei confronti di un’ampia platea di professionisti” e “una palese contraddizione con quello che dovrebbe essere un principio cardine della riforma, ovvero l’elevata professionalità e specializzazione in materia tributaria da parte dei giudici tributari”, sottolineando come le prove concorsuali prevedano tra l’altro il possesso di conoscenze proprie della categoria dei commercialisti: pertanto la magistratura tributaria, distinguendosi dalle altre magistrature, dovrebbe “avere una particolare competenza delle materie trattate, stante il forte impatto sul tessuto economico nazionale”.
La decisione sulle controversie tributarie richiede infatti conoscenze che non si limitano alla cultura giuridica di base generalista maturata con la laurea in giurisprudenza, né nella padronanza delle discipline aziendalistiche ed economiche derivanti dalla laurea in economia. I nuovi magistrati tributari dovranno quindi possedere una cultura specialistica, da acquisire attraverso un percorso comune che il percorso di legge avvia con una selezione mediante concorso pubblico per titoli ed esami e che, si spera, dovrebbe proseguire con un periodo di tirocinio di formazione specialistica iniziale e con un continuo aggiornamento durante l’intera carriera.
Tuttavia, la specializzazione che questo percorso dovrebbe garantire ai nuovi magistrati tributari potrebbe non bastare ad assicurare una piena padronanza delle molteplici sfaccettature delle controversie tributarie, specie in quei casi in cui l’attività giurisdizionale richieda particolari cognizioni tecniche. In queste ipotesi, nel processo civile è previsto l’intervento di un consulente tecnico, una figura ausiliaria alla quale può rivolgersi il giudice quando sono necessarie specifiche competenze estranee alla sfera giuridica.
Allo stesso modo, nel processo tributario, ‘art. 7, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 prevede tra i poteri delle Commissioni Tributarie quello di disporre d’ufficio la consulenza tecnica “quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità”: si tratta quindi di un’attività che avrà per oggetto elementi che esulano dalla sfera di normale conoscenza o conoscibilità del giudice, tenuto conto della sua specifica competenza. Il principio dell’utilizzo della consulenza tecnica potrebbe quindi costituire una soluzione alle critiche mosse al disegno di legge per la riforma della giustizia tributaria: tale strumento processuale consente da una parte di superare le carenze conoscitive che caratterizzano ogni organo giurisdizionale, incluso quello impegnato alla risoluzione delle controversie fiscali, e dall’altra è abbastanza flessibile da adattarsi nell’an e nel quomodo alle specifiche caratteristiche del caso sub iudice.
Al contrario, la partecipazione di laureati in economica come come componenti delle Commissioni Tributarie non è sufficiente di per sé sola a garantire l’apporto conoscitivo che alcune controversie tributarie possono richiedere.
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