Il tema della mancata restituzione della documentazione al cliente moroso da parte del commercialista è stata affrontata in una recente sentenza della Cassazione, la numero 23405 del 2022. La Suprema Corte ribadisce infatti che “il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti previsti dall’articolo 388, comma secondo, cod. pen. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l’obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile perché richiede per la sua attuazione la necessaria collaborazione dell’obbligato. In altri termini, per integrare il reato non basta un mero comportamento omissivo, ma si richiede un comportamento attivo che sia volto a frustare, o quanto meno a rendere difficile, l’esecuzione del provvedimento giudiziale, mentre la semplice inattività viene perseguita dalla legge con sanzioni di carattere civilistico”.
Entriamo nei dettagli del fatto esaminato dalla Cassazione.
Un commercialista era stato denunciato con la motivazione di essersi rifiutato di adempiere all’ordine del Giudice civile emanato in un’ordinanza ex art. 700 codice procedura civile: tale ordinanza intimava al commercialista di restituire la documentazione contabile e fiscale riguardante la pregressa gestione di una s.r.l, suo cliente moroso.
Il professionista era quindi stato condannato per il suo rifiuto dal dal tribunale di Milano ai sensi dell’articolo 388 del Codice penale, che si riferisce a “chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice che prescriva misure inibitorie o correttive a tutela dei diritti di proprietà industriale”.
Successivamente a tale condanna, il commercialista ha proposto ricorso in Cassazione, la quale ha accolto suddetto ricorso: vediamone le motivazioni.
Mancata restituzione della documentazione: la sentenza della Cassazione
Il primo elemento da sottolineare è che il reato di cui il commercialista era accusato si configura qualora il contenuto del provvedimento riguardi la difesa della proprietà, del possesso o del credito. Lo stesso commercialista aveva evidenziato come, affinché vi sia elusione di un provvedimento, sia necessaria una condotta volta a impedire il risultato al quale tende il provvedimento stesso, condotta che nel caso in esame non si era verificata, poiché l’ufficiale giudiziario avrebbe potuto reperire la documentazione con un provvedimento di sequestro, oppure mediante ‘immissione nel suo possesso ricorrendo alla forza pubblica.
Inoltre il commercialista aveva sollecitato, prima dell’emanazione del provvedimento di urgenza, il cliente a ritirare tutta la documentazione contabile, mentre successivamente al provvedimento aveva addotto un mero rifiuto all’ufficiale giudiziario che gli chiedeva di consegnare la documentazione.
La sentenza impugnata è stata quindi cassata dalla Suprema Corte, in quando presumeva erroneamente che i documenti non avrebbero potuto essere acquisiti senza la collaborazione dell’imputato.
Nel dettaglio, la Cassazione nella sentenza afferma che il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti previsti dall’articolo 338, comma secondo, del codice penale non si configura come un comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l’obbligo imposto non sia ineseguibile coattivamente, poiché richiede necessariamente la collaborazione dell’obbligato per la sua attuazione.
L’art. 338 del codice penale infatti tutela l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione, e non ‘autorità in sé delle decisioni giurisdizionali.
Per configurare un reato quindi non basta un mero comportamento omissivo, ma si richiede un comportamento attivo che abbia lo scopo di frustare, o perlomeno rendere più complessa, l’esecuzione del provvedimento giudiziale, mentre la sola inattività è perseguita dalla legge con sanzioni di carattere civilistico.
In conclusione, secondo la Cassazione, non si configura il reato se le ragioni del querelante si basano su un provvedimento alla cui inottemperanza è possibile porre rimedio con i normali mezzi previsti dal processo di esecuzione, come nel caso preso in esame.
Il ricordo del commercialista era quindi fondato, e pertanto la sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.