Secondo quanto stabilito dal decreto fiscale 2019, è possibile fare domanda per la definizione delle liti pendenti in via agevolata, versando, anche a rate, un importo pari al valore della lite, ossia pari al tributo accertato al netto di sanzioni e interessi.

Per rottamare una lite pendente, è necessario che:

  • Il ricorso sia stato notificato alla data del 24 ottobre 2018
  • Non sia intervenuta una sentenza passata in giudicato antecedente alla trasmissione della relativa istanza
  • La controversia abbia come parte l’Agenzia delle Entrate.

L’importo da versare per la definizione della lite pendente si riduce in funzione del grado e del’esito del giudizio. È infatti pari al:

  • 90% del valore della lite nel caso in cui la controversia risulti iscritta a ruolo, ma non sia ancora intervenuta una sentenza della Commissione tributaria provinciale
  • 40% del valore della lite nel caso in cui la Commissione tributaria provinciale sia intervenuta con una sentenza favorevole al contribuente
  • 15% del valore della lite nel caso in cui la controversia sia stata decisa in senso favorevole al contribuente dalla Commissione tributaria regionale
  • 5% del valore della lite per i giudizi pendenti in Cassazione alla data del 19 dicembre 2018  nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate risulti soccombente in entrambi i gradi di merito.

Ma come avviene la definizione delle liti pendenti in caso di soccombenza reciproca tra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate? La fattispecie e delineata nel comma 2-bis dell’articolo 6 del D.L. n. 119/2018: vediamone i dettagli.

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Definizione delle liti pendenti in caso di soccombenza ripartita

La disciplina applicabile alla definizione dei giudizi pendenti in grado di appello e di Cassazione, in ipotesi di soccombenza reciproca tra contribuente e Amministrazione finanziaria, prevede da una parte l’estensione delle riduzioni previste dal comma 2, art.6 del D.L. n. 119/2018 alle parti di atto annullate dalla pronuncia giurisdizionale, mentre dall’altra prevede il pagamento del valore della lite per la parte di atto confermata dal decisum.

Così come formulata, tuttavia, la disposizione si presta ad alcuni dubbi operativi. Ad esempio: come ci si deve comportare nel caso in cui, alla data del 24 ottobre 2018, si sia formato il giudicato su alcuni autonomi capoversi della pronuncia giurisdizionale?

Poniamo il caso pratico, riportato da Ipsoa.it nella sua analisi della materia: un avviso di accertamento riporta due autonome contestazioni, una annullata e l’altra confermata dalla Commissione tributaria provinciale.

Nel caso in cui il contribuente, alla data del 24 ottobre 2018, sia ricorso in appello e risultino non applicabili i termini dell’Ufficio per l’interposizione di appello incidentale, per la definizione della lite pendente si dovrà considerare la contestazione annullata o, invece, si dovrà considerare quest’ultima come non rientrante nel concetto stesso di lite pendente? E inoltre, se alla data del 24 ottobre il contribuente abbia interposto appello ma non siano spirati i termini per la presentazione dell’appello incidentale all’Ufficio, quando dovrà versare?

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La soluzione è nell’interpretazione sistematica

I dubbi generati dalla disposizione possono superarsi solo sulla base di un’interpretazione sistematica del quadro normativo, basata sulla necessità di garantire la certezza delle situazioni giuridiche.

La prima indicazione fondamentale può essere ricavata dal comma 4 del’art. 6 D.L. n. 119/2018, che stabilisce che la definizione delle liti è applicabile solo alle controversie che risultino pendenti alla data di entrata in vigore del decreto (24 ottobre 2018): sono da escludere, quindi, tutte le liti per le quali siano decorsi i  termini di impugnazione, sia incidentale che principale.

Questa interpretazione è stata confermata dalla circolare n.6/E dell’Agenzia delle Entrate, dove si legge che “ai fini della determinazione dell’effettivo valore della controversia, vanno comunque esclusi gli importi di cui all’atto impugnato che eventualmente non formano oggetto della materia del contendere, come avviene, in particolare, in caso di contestazione parziale dell’atto impugnato, di formazione di un giudicato interno, di conciliazione o mediazione perfezionate che non abbiano definito per intero la lite ovvero in caso di parziale annullamento dell’atto a seguito di esercizio del potere di autotutela da parte dell’Ufficio, formalizzato tramite l’emissione di apposito provvedimento”.

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Riprendendo i due esempi sopra riportati, è quindi possibile prospettare due conclusioni.

Primo caso: il contribuente, alla data del 24 ottobre 2018, ha interposto appello avverso la parte di sentenza che lo vedeva soccombente e risultano decaduti i termini dell’Ufficio per l’interposizione di appello incidentale.

Per la definizione della lite pendente sarà sufficiente il versamento di un importo pari al valore dell’imposta per la quale il contribuente è risultato soccombente in primo grado.

Secondo caso: il contribuente, alla data del 24 ottobre 2018, ha interposto appello e non sono spirati  per l’Agenzia delle Entrate i termini per la presentazione di appello incidentale.

In tal caso, considerando anche la sospensione ope legis disposta dal comma 11 art. 6, per definire la lite pendente si dovrà versare anche un importo pari al 40% delle imposte per le quali il contribuente era risultato vincitore in primo grado.

Chiaramente, affinché il meccanismo fin qui descritto possa applicarsi, è necessario che vi sia stato un passaggio in giudicato, che si ritiene avvenuto solo quando siano state formulate due contestazioni non correlate tra loro, ai sensi dell’art. 328 c.p.c.

La norma, infatti, prende in considerazione una situazione in cui una sentenza presenti più capi autonomi e indipendenti e che venga impugnata solo parzialmente. Se invece due contestazioni sono correlate da un punto di vista oggettivo, il giudicato interno non può ritenersi formato e pertanto per determinare il valore della lite si dovrà considerare il valore complessivo della sentenza di primo grado.