Lo scorso 30 giugno la Commissione interministeriale dedicata alla riforma della giustizia tributaria ha presentato al Ministro dell’Economia e delle finanze e al Ministro della Giustizia la relazione finale dei lavori, nella quale sono riportate una serie di proposte di intervento per la realizzazione di una riforma strutturale della giustizia tributaria.
L’esigenza di una riforma dell’intero sistema è avvertita da tempo ed è ormai diventata una priorità del Governo, considerando anche gli obiettivi stabiliti nel Piano Nazione di ripresa e resilienza (PNRR), approvato dal Parlamento e accolto con favore dalla Commissione europea.
Giustizia tributaria: le criticità sulle quali intervenire
L’ultima riforma della giustizia tributaria risale ormai a quasi trent’anni fa (con i decreti legislativi n. 545 e n. 546 del 1992). In questo lasso di tempo sono emerse tutte le criticità del sistema della giustizia tributaria, che possono essere riassunte nei seguenti punti:
- un’applicazione disomogenea del diritto, anche a causa della complessità sempre crescente e della variabilità della normazione, con le conseguenti ripercussioni negative in tema di certezza del diritto;
- un deficit di conoscenze in merito alla giurisprudenza di merito;
- un’eccessiva durata del processo tributario;
- uno scarso livello di specializzazione dei giudici;
- le eccessive dimensioni quantitative del contenzioso tributario;
- la percezione diffusa che vede i giudici tributari come non del tutto indipendenti.
A queste criticità si aggiunge, come evidenziato dalla Commissione, il rischio di collasso della giustizia tributaria, che potrebbe verificarsi nei prossimi mesi a causa della ripresa delle attività di notifica degli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni, di recupero dei crediti di imposta, di liquidazione e di rettifica, sospesa dalla legislazione emergenziale Covid.
I lavori della Commissioni evidenziano quindi come gli obiettivi di miglioramento della qualità della risposta giudiziaria e di riduzione dei tempi del processo tributario debbano passare necessariamente attraverso due temi centrali: la specializzazione die giudici tributari da un parte e dell’altra il rafforzamento e il miglioramento degli strumenti deflattivi.
La specializzazione dei giudici tributari
Una delle caratteristiche peculiari dei giudici tributari è il carattere onorario della carica. Una caratteristica, questa, che costituisce un unicum rispetto ai principali ordinamenti europei e che la Commissione interministeriale ha giudicato come anacronistica e retaggio della precedente natura di contenzioso amministrativo del processo tributario, concezione superata definitivamente ormai 50 anni fa, con il pieno riconoscimento del carattere giurisdizionale della funzione ricoperta dai giudici tributari.
La mancanza di specializzazione del giudice tributario va a ledere inevitabilmente l’interesse generale all’adeguata e sollecita composizione delle dispute e è causa dell’elevato numero di ricorsi portati all’attenzione della Corte di Cassazione.
Alla luce di queste considerazioni, la Commissione ha indicato come esigenza prioritaria quella di introdurre nel processo tributario un giudice di merito specializzato e a tempo pieno.
A tal proposito, all’interno della Commissione si sono sviluppati due diversi indirizzi rispetto alle modalità con le quali conseguire la specializzazione dei giudici tributari, indirizzi che non hanno trovato una composizione unitaria.
La prima proposta prevede l’istituzione di un ruolo autonomo di giudici tributari, da assumere attraverso concorso pubblico, salvaguardando con una riserva di posti le professionalità che già operano nelle commissioni tributarie, come magistrati ordinari e speciali, professori universitari e liberi professionisti.
La seconda linea di proposta prevede invece il distacco a domanda presso le Commissioni tributarie regionali dei magistrati togati, ordinari e speciali, con permanenza minima di quattro anni e conservazione della progressione in carriera nell’ordine di appartenenza. Questa seconda proposta prevede inoltre, per il primo grado di giudizio, una modifica della disciplina di accesso ai ruoli giudicanti della giustizia tributaria (ossia limiti di età e titoli di accesso), con ingresso in primo grado e possibilità di accesso al secondo grado solo dopo otto anni di positivo esercizio della giurisdizione.
Rispetto alla prima, questa proposta avrebbe un impatto riformatore più limitato sulla struttura attuale della magistratura tributaria, che comunque resterebbe un corpo non legato da un rapporto di lavoro stabile ed esclusivo con l’organo di amministrazione della giustizia tributaria. Tuttavia, l’assegnazione a tempo pieno e in esclusiva del magistrato a questa sola funzione, per un periodo di quattro anni, sembra poter assicurare i risultati ai quali tende la riforma, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
Il rafforzamento degli strumenti deflattivi
È ormai chiaro come potenziare l’
efficacia degli strumenti deflattivi possa incidere positivamente sia sulla
riduzione del numero dei processi pendenti sia sul miglior bilanciamento degli interessi coinvolti nelle vicende tributarie. A tal proposito, nel documento consegnato al Governo la Commissione detta una serie di linee guida.
La prima prevede, ben prima del ricorso al giudice tributario, l’ampliamento delle fattispecie di contraddittorio endoprocedimentale e l’introduzione di ipotesi di annullamento in autotutela obbligatorie. L’introduzione di fattispecie obbligatorie di annullamento in autotutela ha il chiaro obiettivo di contrastare il ritardo, o l’inerzia, dell’Amministrazione finanziaria rispetto alle richieste di annullamento in autotutela di atti palesemente illegittimi. Si tratta di una proposta profondamente innovativa, che prevede l’introduzione di un nuovo articolo nello Statuto dei diritti del contribuente, in modo che possa recepire, con le opportune modifiche, il contenuto dell’attuale art. 2 del D.M. n. 37/1997 (“Regolamento recante norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria”), oltre all’ampliamento del novero degli atti impugnabili di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, includendovi anche “il rifiuto espresso o tacito all’istanza di autotutela di atti definitivi”.
In caso di diniego o rifiuto di autotutela, si riconosce al contribuente una tutela giudiziale solo rispetto ad atti divenuti già definitivi.
Il giudizio di impugnazione del rifiuto, espresso o tacito che sia, dell’autotutela riguarda non solo l’accertamento dell’obbligo di provvedere ma si estende anche al merito della pretesa, conformemente alla natura di impugnazione-merito del giudizio tributario.
Concludendo, la Commissione propone di far coincidere il termine di decadenza per l’impugnazione del rifiuto in merito all’istanza di autotutela con quello biennale previsto dall’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 per le azioni di rimborso di tributi.