L’impugnabilità dell’estratto a ruolo, ossia la possibilità, per il contribuente destinatario di una cartella di pagamento che ritiene non essere mai stata effettivamente notificata, di presentare ricorso, potrebbe non essere più un istituto attuabile.

Il MEF sta infatti valutando, all’interno della riforma della fase di merito (primi due gradi di giudizio) della giustizia tributaria, l’inoppugnabilità degli estratti di ruolo, ossia quei documenti dell’agenzia delle Entrate-Riscossione attraverso i quali il contribuente viene a sapere di una richiesta di denaro.

Lo scopo è eliminare la gran parte di questa tipologie di controversie, che oggi vanno ad intasare Commissioni tributarie, Giudice di pace e la magistratura ordinaria.

Non impugnabilità dell’estratto di ruolo: cambiano le strategie difensive

Se la riforma fosse attuata, commercialisti e avvocati dovrebbero rivedere parte delle loro strategie difensive. Infatti, pur rimanendo immutata la possibilità di ricorrere contro la mancata notifica delle cartelle, unitamente al primo atto successivo, i professionisti non potrebbero più disporre di uno strumento preventivo come, rappresentato appunto dall’impugnazione degli estratti di ruolo che permette, con la concessione sospensiva, di bloccare in una fase preliminare ogni azione esecutiva.

La stretta ai ricorsi pretestuosi

Se da una parte questo cambiamento potrebbe rappresentare un danno per i contribuenti, dall’altra potrebbe contrastare l’utilizzo dell’istituto a scopo pretestuoso, ossia con il solo scopo di sfruttare le diffuse problematiche legate alla notifica delle cartelle.

Solo nel 2020, infatti, su 135mila ricorsi contro la Riscossione,  55mila sono stati innescati dagli estratti a ruolo: una percentuale pari ad oltre il 40%, che potrebbe essere in tal modo ridotta.

Le possibilità di impugnazione

La proposta di non impugnabilità dell’estratto a ruolo arriva dalla relazione conclusiva della Commissione interministeriale di riforma presieduta dal professor Giacinto della Cananea, ed è stata messa a punto dal direttore dell’agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. Il tema è ora all’esame del MEF, che lo sta esaminando attentamente per il suo possibile effetto deflattivo sul contenzioso, che potrebbe alleggerire la Riscossione di procedimenti sostanzialmente inutili.
Secondo la proposta di Ruffini, l’estratto a ruolo rimarrebbe impugnabile in soli tre casi:
  1. quando un operatore economico rischi di perdere un appalto se risultino violazioni degli obblighi di pagamento delle imposte (articolo 80, comma 4, Codice dei contratti pubblici);
  2. quando il debito blocchi un pagamento da parte della Pubblica amministrazione (articolo 1, lettera a) Dm 40/2008 negli effetti dell’articolo 48-bis Dpr 602/1973);
  3. quando ci sia la perdita di un beneficio nei rapporti pendenti con una Pubblica amministrazione.

Il tema è però più controverso di quanto sembri, perché rendendo parzialmente inoppugnabili gli estratti di ruolo si rischierebbe di entrare in contrasto con l’orientamento della Cassazione, la quale ha chiarito che l’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’articolo 19 del Dlgs 546/92 (Codice del processo tributario) non è tassativo e deve essere interpretato in modo estensivo. Tale orientamento è in linea con le norme norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della Pubblica amministrazione (articoli 24, 53 e 97).

Secondo la Suprema Corte, pertanto, il contribuente non può essere privato della possibilità di impugnare un atto che rechi una pretesa tributaria, esplicitando le ragioni concrete dell’impugnazione. Ed è questo il caso del ruolo o della cartella di pagamento, della cui esistenza il contribuente può venire a conoscenza con la richiesta dell’estratto a ruolo.

Photo credits: cristianstorto/DepositPhoto