Come ormai noto, uno degli obiettivi nell’ambito del dibattito sulla riforma del processo tributario è deflazionare il contenzioso: il legislatore sta perseguendo questo scopo con l’introduzione di una norma volta a contrastare la proliferazione registrata negli ultimi anno di controversie nate dall’impugnazione degli estratti a ruolo. Impugnazioni proposte dai contribuenti e che, secondo l’Agenzia delle Entrate, sarebbero spesso pretenziose e aventi scopi dilatori.
Si tratta di una tematica senz’altro esistente, come rilevato anche nella Relazione finale della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria, presentata il 30 giugno 2021 e che ripropone i risultati di un documento dell’Agenzia della riscossione. Nella relazione si legge come “l’intensificarsi dei ricorsi contro gli estratti di ruolo, pur se concentrati in alcune regioni e sparsi su più giurisdizioni, è imponente: nel 2020, anno contraddistinto dalla pressoché totale inerzia degli uffici incaricati della riscossione, vi sono stati ben 55.000 ricorsi sui circa 135.000 complessivi, pari a circa il 40 per cento”.
Tali risultati devono aver spinto il legislatore a prevedere una apposita disposizione nel decreto Fisco-Lavoro (D.L. n. 146/2021), che introduce dei limiti all’impugnabilità degli estratti di ruolo, del ruolo e delle cartelle di pagamento.
Cosa prevede il decreto Fisco-Lavoro
Il legislatore è intervenuto direttamente sull’art. 12, D.P.R. n. 602/1973, rubricato “Formazione dei ruoli” aggiungendo il comma 4-bis, che recita: “L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dalla iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 o, infine, per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.
Chiariamo innanzitutto che l’estratto di ruolo, anche prima dell’introduzione del nuovo comma, non è mai stato suscettibile di impugnazione, in quando non è compreso nell’elenco degli atti impugnabili e oggetto del ricorso dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992; le Sezioni Unite con la sentenza n. 19704 del 2015, ha stabilito indiscutibilmente la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, “innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato”; nella stessa sentenza le Sezioni Unite chiariscono la differenza sostanziale tra ruolo, ossia l’atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione, e l’estratto di ruolo, ossia l’elaborato informatico contenente gli elementi della cartella che non contiene né, per sua natura, potrebbe contenere nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta.
Inoltre, le Sezioni Unite hanno negato espressamente la natura provvedimentale dell’estratto di ruolo, che rimane un documento non atto a contenere pretese impositive, dirette o indirette, confermandone quindi l’esclusione dall’elenco degli atti impugnabili.
Dal punto di vista pratico, quindi, la modifica normativa prevede che non sarà più possibile impugnare i ruoli e le cartelle non notificate, o per le quali venga lamentato un difetto di notifica, della cui esistenza si sia venuti a conoscenza attraverso gli li estratti di ruolo rilasciati su richiesta dall’Agente della riscossione.
Tale misura, così drastica, viene temperata da tre eccezioni al divieto di impugnazione, che si applicano a condizione che il contribuente possa dimostrare che l’iscrizione del ruolo gli abbia:
- precluso la partecipazione ad una procedura d’appalto
- impedito la riscossione di crediti vantati nei confronti di Amministrazioni pubbliche o di società a totale partecipazione pubblica
- comportato la perdita di benefici nei rapporti con la Pubblica amministrazione.
I precedenti nella giurisprudenza
Le conseguenze per i contribuenti
I dubbi sulla costituzionalità della norma
Alla luce delle considerazioni fatte finora, non è quindi difficile immaginare come la nuova norma abbia suscitato più di un dubbio sulla sua costituzionalità. In particolare, il diritto alla difesa appare compromesso, in contrasto con quanto previsto dell’art. 24 Cost. Il rispetto dei dei diritti alla difesa, come ricorda la Corte di Giustizia UE, con la sentenza 18 dicembre 2008, C-349/07, “costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo”.
Non solo: anche i principi di uguaglianza e di capacità contributiva, sanciti dagli articoli 3 e 53 Cost., potrebbero risultare compromessi nell’applicazione della nuova norma, che potrebbe infatti introdurre delle disparità di trattamento, ad esempio tra un’impresa che partecipa a gare d’appalto, la cui impugnazione di una cartella invalidamente notificata sarebbe ammessa, ed una persona fisica destinataria di un preavviso di ipoteca a cui, invece, la tutela giurisdizionale preventiva sarebbe preclusa.