Come è ampiamente riconosciuto, la pace fiscale stabilita dalla Legge 197 del 2022 si svolge principalmente attraverso meccanismi volti a ridurre le controversie.
In questo scenario, un ruolo di rilievo è assunto dall’accertamento su adesione, come previsto dal Decreto Legislativo 218 del 1997. In particolare, l’articolo 6, paragrafo 2, del Decreto Legislativo 218 del 1997, permette al contribuente, in mancanza di un’azione simile da parte dell’Ufficio e successivamente alla notifica di un avviso di accertamento o rettifica che non sia stato preceduto da un invito a comparire, come stabilito dagli articoli 5 e 5-ter del Decreto Legislativo 218 del 1997, di presentare autonomamente una richiesta di accertamento su adesione, per quanto riguarda le imposte sul reddito e l’IVA, richiedendo l’instaurazione di un contraddittorio riguardante le violazioni contestate nell’atto notificato.
Tra coloro che hanno il diritto di presentare una richiesta di accertamento su adesione, si trova anche l’amministratore giudiziario di un’azienda sequestrata, per il periodo di sua competenza.
Infatti– come chiarisce l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 29487/2021 – “La funzione tipica del sequestro d’azienda è, comunque, non solo quella conservativa o prenotativa del compendio, dovendosene assicurare l’utile consegna all’avente diritto, all’atto della sua cessazione, ma anche dinamica, attraverso la gestione dell’azienda stessa, ove disposta… Il custode, allora, deve ritenersi, più che un rappresentante delle parti, un gestore autonomo, un ausiliario del giudice, dal quale direttamente riceve l’investitura e i poteri-doveri che attengono alla custodia e all’amministrazione dei beni sequestrati. Se, dunque, il custode giudiziario, a seguito dello spossessamento della titolarità dei beni e dell’azienda nei confronti del proprietario-imprenditore, ha l’amministrazione e la disponibilità di tali beni, non v’è dubbio che rientra nell’ambito dei suoi poteri doveri anche quello di inoltrare, dopo la notifica dell’avviso di accertamento effettuata nei confronti dell’imprenditore contribuente, istanza di accertamento con adesione rivolta all’Agenzia delle entrate… Pertanto, rientra nelle attività di conservazione del compendio aziendale propria del custode giudiziario o dell’amministratore giudiziario anche quella relativa alla corretta valutazione dei debiti fiscali dell’imprenditore, indicati nell’avviso di accertamento notificato, trattandosi di una obbligazione potenzialmente gravante sui beni amministrati”.
La richiesta del “contribuente”, mirata a una rivalutazione della ripresa fiscale in modo che risulti più vantaggiosa per lui, deve sicuramente essere compresa nei poteri dell’amministratore giudiziario. Quest’ultimo, in quanto gestore dell’attività aziendale, deve cercare di ridurre il carico fiscale che grava sull’impresa. Infatti, l’accertamento con adesione, essendo un accordo tra l’amministrazione e il contribuente, è caratterizzato dalla natura volontaria dell’adesione, come sancito dalla Corte di Cassazione, sezione 5, con la sentenza numero 18351 del 25 giugno 2021.
Nell’accordo, nonostante sia di natura pubblica, l’autonomia privata di carattere gestionale assume un ruolo di grande importanza. Pertanto, dopo il sequestro, è proprio l’amministratore giudiziario a cui viene affidata la gestione dell’impresa e, di conseguenza, la capacità di contrattare con l’amministrazione pubblica.
In pratica, una volta che l’autorità giudiziaria ha disposto il sequestro, l’autonomia privata del contribuente viene protetta dall’amministratore giudiziario o dal custode nominato dal giudice.
La stessa Cassazione nell’ordinanza citata – n. 29487/2021 – ha affermato che nel caso di sequestro giudiziario “il contribuente ha la legittimazione attiva ad impugnare gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti, con riferimento ai debiti fiscali già sorti prima del sequestro, mentre spetta al custode giudiziario, per l’intervenuto spossessamento dei beni a carico del contribuente, la legittimazione ad inoltrare all’Agenzia delle entrate l’istanza di accertamento con adesione di cui all’articolo 6 del DLgs. 19 giugno 1997, n. 218, rientrando tale incombente nell’attività di gestione ed amministrazione del complesso aziendale, comprensivo anche dell’attività di salvaguardia della integrità patrimoniale e reddituale, per il debito potenzialmente gravante sui beni amministrati, da tutelare nell’ambito dell’accordo negoziale, sia pure di tipo pubblicistico, rappresentato dal procedimento con adesione“.
Pertanto, il contribuente o l’amministratore giudiziario ha il diritto a una sospensione del termine per fare ricorso per 90 giorni, come previsto dall’articolo 6, comma 3, del Decreto Legislativo 218 del 1997. Trascorso questo periodo, senza che sia stata raggiunta una risoluzione consensuale, l’accertamento diventa definitivo in assenza di ricorso, anche se non si sia verificata la convocazione del contribuente. Quest’ultima, infatti, non rappresenta un obbligo per l’Ufficio, ma una possibilità, da esercitare in base a una valutazione discrezionale dell’importanza degli elementi alla base dell’accertamento e della convenienza di evitare una contestazione in tribunale, come stabilito dalle sentenze della Corte di Cassazione n. 28051 del 30 dicembre 2009, n. 3368 del 2 marzo 2012, e n. 1540 del 21 giugno 2017.
Il periodo di sospensione di 90 giorni per fare ricorso contro l’avviso di accertamento si attiva automaticamente con la presentazione della richiesta di risoluzione, indipendentemente dall’esito positivo o negativo del procedimento, come sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione, sezione 5, n. 21097 del 24 agosto 2018.