La riforma del processo tributario continua il suo lungo iter legislativo che si dovrebbe concludere con l’esame in Parlamento del disegno di leggere recante Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari” approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 17 maggio.
Uno dei pilastri della riforma è l’introduzione di un giudice tributario professionale, nominato tramite concorso pubblico, che a sostituirsi al giudice onorario: tale elemento però suscita qualche dubbio in merito alla sua costituzionalità.
In particolare, a creare frizioni con i principi costituzionalità che governano la funzione giurisdizionali è la circostanza secondo cui il Ministero dell’Economia e delle finanze rimanga l’organo amministrativo di riferimento per la gestione della giustizia tributaria, al posto del Ministero della Giustizia che invece sarebbe l’apparato naturalmente preposto per la materia giurisdizionale.
Il concorso pubblico per la selezione dei nuovi magistrati togati sarebbe quindi condotto dal MEF, che dovrà quindi gestire la valutazione dei candidati al ruolo. Inoltre, le segreterie delle Commissioni tributarie provinciali e regionali continuerebbero a rispondere al MEF e non al Ministero della Giustizia.
I principi costituzionali oggetto di dubbio per la legittimità della riforma del processo tributario
Un assetto così concepito potrebbe contrastare con il principio di terzietà e imparzialità del giudice di cui all’art. 111, comma 2, Cost. L’imparzialità costituisce un requisito essenziale per qualificare un organo giudicante come giurisdizionale, che presuppone un’assoluta equidistanza dagli interessi che perseguono concretamente i soggetti che operano nel processo (le parti).
Appare evidente invece come il MEF non sia equidistante rispetto agli interessi delle parti: sebbene la gestione dei tributi erariali sia affidata alle Agenzie fiscali che sono persone giuridiche di diritto pubblico, bisogna però sottolineare che tali agenzie operano in regime di convenzione con il MEF in modo da assicurare il raggiungimento degli obiettivi gestionali della finanza pubblica. Quindi, se è vero che parte del processo è l’Agenzia delle Entrate e non il MEF, è altrettanto vero che la prima è in sostanza un ente strumentale del secondo.
Per questi motivi, la gestione della nuova giustizia tributaria in capo ai magistrati professionali non dovrebbe essere affidata al MEF. Per preservare la tenuta costituzionale del nuovo sistema si rischia infatti una de-giurisdizionalizzazione delle Commissioni tributarie, che rischiano di tornare indietro di anni, quando erano organi amministrativi di contenzioso a cui era affidata la gestione del ricorso gerarchico del contribuente.
L’esclusione dei giudici tributari professionali dalla Cassazione
Un ulteriore profilo di incostituzionalità si ravvisa anche nell’esclusione dei giudici tributari professionali dalla sezione tributaria della Corte di cassazione.
Tale esclusione appare discriminatoria e irragionevole e sarebbe anzi auspicabile il contrario, ossia che la sezione tributaria della Cassazione possa essere popolata solo da giudici togati specializzati nelle materia, che abbiano superato il concorso specifico e abbiano maturato una certa esperienza e anzianità nelle nuove commissioni tributarie.
In tal modo si corre invece il rischio di creare un giudice tributario di serie B rispetto al giudice civile o penale, al quale invece è concesso il classico excursus di carriera che culmina con l’ingresso in Cassazione.
A che cosa di deve quindi questa esclusione? Il concorso per diventare giudici tributari è riservato ai laureati in giurisprudenza e prevede una serie di prove scritte e orali che non hanno nulla di meno rispetto a quelle previste per il concorso nella magistratura ordinaria, mentre tale sbarramento sembra dimostrare una sfiducia nei confronti della preparazione tecnica dei giudici professionali tributari.
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