Il Fisco può applicare sanzioni sulla base di presunzioni? Si tratta di una domanda che i contribuenti si pongono spesso, specie nel caso in cui ricevano degli accertamenti fiscali basati sul tenore di vita. È il caso in cui, a seguito dell’acquisto di beni considerati di lusso, il Fisco ricalcola il reddito del contribuente, con la conseguente tassazione della maggiori somme e applicazione delle sanzioni.
In questi casi, l’Agenzia delle Entrate effettua una ricostruzione del reddito del contribuente attraverso l’uso di uno strumento ormai noto, il redditometro, che permette di effettuare il cosiddetto accertamento sintetico. Il redditometro è infatti un software che misura le spese effettuate dal contribuente in un certo periodo di imposta e le mette a confronto con il reddito dichiarato. Se le spese dovessero risultare superiori al reddito, e non sono in corso finanziamenti oppure non sono presenti altri redditi da cui il contribuente può avere attinto, il Fisco può presumere che tali spese siano state effettuate con proventi in nero, cioè non dichiarati.
Prima di inviare la richiesta di pagamento vera e propria, però, l’Agenzia delle Entrate intraprende un’attività preliminare di confronto con il contribuente, che è chiamata a rendere conto della disponibilità del maggior reddito. Se il contribuente fornisce prova di tale reddito, il procedimento si chiude; al contrario, parte l’accertamento fiscale vero e proprio, volto al recupero e alla tassazione dei maggiori redditi.
Quello appena descritto, tuttavia, non è il solo caso in cui il Fisco può ricorrere alle presunzioni: basti pensare all’ipotesi in cui un contribuente riceva un bonifico sul conto, oppure versi dei contanti senza dichiararli. Anche in tal caso l’Agenzia delle Entrate può presumere che si tratti di redditi imponibili, fornendo sempre al contribuente la possibile di dimostrare il contrario.
Perché il Fisco può ricorrere alle presunzioni?
Perché il legislatore ha previsto per il Fisco la possibilità di avvalersi di queste presunzioni, uno strumento che impone al cittadino di difendersi per evitare sanzioni?
La motivazione è da ricercare nella scarsità di prove scritte che possano documentare l’evasione, scarsità per la quale l’Agenzia delle Entrate può per legge ricorrere a meccanismi presuntivi per ricostruire i redditi imponibili non dichiarati e quindi calcolare i tributi dovuti dal cittadino.
Per spiegare come funziona una presunzione in ambito fiscale, è possibile fare un esempio immediato: se un contribuente acquista una casa, e chiede in banca un mutuo che prevede il pagamento di una rata di 1.000 euro al mese, ma dichiara un guadagno mensile di 800 euro, si presume che stia evadendo. Oppure, se ad acquistare un’abitazione è un contribuente disoccupato, e quindi privo di reddito, scatterà l’accertamento fiscale, a meno che non si dimostri di aver ricevuto una donazione da un familiare.
Le presunzioni fiscali, perciò, rappresentano dei meccanismi processuali che agevolano il Fisco, che non deve sottostare all’onere di una prova di cui non potrebbe essere in possesso. Ovviamente questo meccanismo non è esente da errori ed è per questo motivo che il contribuente può sempre opporre prova contraria alle presunzioni del Fisco, dimostrando la regolarità della propria posizione. Inoltre, l’ufficio che effettua il controllo è sempre tenuto a motivare e spiegare i ragionamento che sono alla base del recupero di imposta.
In conclusione, così come in ambito penale esiste la presunzione di innocenza, anche in ambito fiscale il cittadino non può essere considerato un presunto evasore.
Credits: AndreyPopov/DepositPhoto