Quando si parla di sostenibilità, si pensa immediatamente a l’impatto ambientale dei cambiamenti climatici e alla lotta contro le disuguaglianze, ma spesso si trascurano le leve fiscali, strumenti indispensabili per raggiungere questi obiettivi. Uno sviluppo sostenibile infatti richiede un sistema tributario equo ed efficiente, ma anche che le imprese si impegnino sempre di più in termini di trasparenza.
Il concetto di sostenibilità, ossia di un’economia che non sia orientata alla massimizzazione immediata del profitto ma al miglioramento della qualità delle vita per le generazioni presenti e future, è ormai al centro del dibattito internazionale ed è tra gli obiettivi più importanti delle politiche nazionali dei governi dei paesi più avanzati.
Le imprese hanno ormai familiarizzato con concetti sofisticati che, una volta declinati in regole concrete, impongono il rispetto dei parametri utilizzati per la misurazione del livello di compliance delle imprese agli obiettivi di sostenibilità. Parliamo di acronimi diventati ormai di uso comune nelle grandi imprese, come GRI (Global Reporting Initiative, gli standard globali per la rendicontazione di sostenibilità), ESG (Environmental, Social and Governance, i criteri di valutazione sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari), ma che si stanno diffondendo sempre di più anche nel linguaggio delle imprese di medie dimensioni.
Il ruolo del Fisco nella sostenibilità
I temi legati all’ambiente, al corretto utilizzo delle risorse a alla lotta alla disuguaglianza hanno un grande impatto, anche emotivo, sul pubblico. Tale impatto mette spesso in secondo piano il ruolo che il Fisco è chiamato a ricoprire in questo contesto, sia attraverso politiche fiscali che incentivino comportamenti sostenibili e disincentivino quelli scorretti, sia sotto forma di rispetto degli obblighi fiscali che garantiscono le risorse per realizzare gli obiettivi di uno sviluppo sostenibile.
La Commissione UE, nella Comunicazione del 18 maggio 2021 in materia di business taxation, ha già enunciato la necessità di rendere il quadro fiscale complessivo dell’Unione più solido, equo ed efficiente, oltre all’esigenza di canalizzare le risorse pubbliche non tanto verso una generica ripresa economica, quanto verso una crescita che favorisca la transizione ecologica e digitale, attraverso investimenti equi e sostenibili.
La Commissione UE ha infatti individuato nella leva fiscale uno degli strumenti principali per l’attuazione della cosiddetta “transizione verde”, attraverso la quale perseguire gli obiettivi del “Green Deal europeo”. Unitamente alle politiche di tariffazione ambientale e specifiche misure normative (ad esempio la proposta di un nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, il CBAM, e di revisione del sistema per lo scambio di quote di emissioni nell’UE), le misure fiscali, e in particolare la riforma della della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici, hanno il compito di mettere in pratica il principio del “chi inquina paga“, mettendo così fine all’epoca del cosiddetto “inquinamento gratuito”.
L’obiettivo è introdurre una nuova filosofia impositiva, il cui presupposto non sarà più di natura quantitativa, ossia basato sui consumi, a qualitativa, stabilendo le le aliquote minime a seconda del contenuto energetico e del potenziale impatto ambientale ed eliminando le distorsioni che favoriscono l’uso dei combustibili fossili.
Di fondamentale importanza, poi, è il concetto della trasparenza, che garantisce agli operatori del settore, ma soprattutto agli utenti finali, un rapido e semplice confronto tra le diverse fonti energetiche, attraverso l’introduzione di un sistema uniforme di rappresentazione delle aliquote, in modo da favorire le scelte meno inquinanti sulla base del livello di tassazione (dal massimo per i combustibili fossili come gasolio e benzina al minimo per elettricità, biocarburanti sostenibili avanzati, biogas e combustibili rinnovabili di origine non biologica).