I lavoratori autonomi, oltre alle società tra professionisti e associazioni professionali, possono scegliere una terza modalità di studio professionale: quella virtuale. Grazie alle nuove tecnologie, infatti, è possibile continuare a lavorare ognuno nei propri studi professionali, ma al contempo condividere conoscenze, competenze e clienti.
Questo modello di aggregazione, proposto dal Consiglio Nazionale e dalla Fondazioni dei commercialisti, si può mettere in pratica in cinque passi, senza dover necessariamente formalizzare la collaborazione con le modalità conosciute fino ad ora.
Si parte dalla partecipazione dello studio a dei networking professionali, come quelli di LinkedIn, in modo da favorire l’integrazione con altri studi professionali e altri colleghi; dopo questa prima fase conoscitiva, si può iniziare a cooperare su attività comuni, come la redazione di newsletter informative da inviare ai clienti. Con la collaborazione vera e propria inizia la fase di conoscenza, esperienza e know how, ad esempio nell’assistere un cliente su un settore non presidiato dallo studio. Impiegando soluzioni cloud si possono poi condividere dati e informazioni tra i diversi studi, fino ad arrivare ad una aggregazione vera e propria.
Ognuna di queste fasi presenta dei benefici e delle possibili criticità, come è evidenziato nel grafico de Il Sole 24 Ore sul tema.
Negli studi professionali dei commercialisti ad oggi prevale infatti un modello atomistico: più del 61% su oltre 118mila commercialisti ha uno studio individuale e nel 71% lo studio non ha più di 5 addetti. Solo un professionista su 5, invece, è un associato. Chi sceglie di lavorare in squadra, però, viene premiato, anche da un punto di vista economico: i professionisti che scelgono una forma societaria associata hanno un reddito medio di 125 mila euro e un volume di affari di 245 mila euro, mentre chi sceglie di stare da solo ha un reddito medio di 49 mila euro e un volume di affari di 80 mila euro.
I vantaggi, però, non solo solo di ordine economico: aggregarsi permette anche di far fronte alla richiesta di competenze professionali sempre più specialistiche. Ecco perché il Consiglio nazionale dei commercialisti vuole promuovere la collaborazione tra gli studi, prefigurandolo modelli di aggregazione più leggeri, dove l’unico presupposto è la conoscenza delle nuove tecnologie. In tal modo rimangono inalterati quegli spazi fondamentali per il professionista, come lo spazio di lavoro, i collaboratori e i settori di competenza, e si collabora in modo virtuale.
Ovviamente anche questa forma più leggera di aggregazione richiede una certa apertura mentale. Nel documento del Consiglio nazionale, infatti, si legge che ” L’esigenza del confronto deve trovare origine, a sua volta, nella consapevolezza che ciascun professionista ha propri limiti operativi ed intellettivi, ma nel contempo è fonte inesauribile di idee e soluzioni”.
Si tratta quindi di promuovere una cultura del confronto, accompagnata dalla fiducia nei colleghi che si scelgono come partner.
Inoltre, è necessario ripensare gli studi professionali secondo nuovi modelli che ” siano in grado di adottare nuovi paradigmi nel creare valore e nell’interagire con la clientela e con i partner, avviando un percorso di evoluzione che faccia leva sui processi di digitalizzazione in atto”.
Quali sono dunque le nuove tecnologie chiamate in causa? Dalle soluzioni cloud alle piattaforme di videosharing, è necessario spingere sull’integrazione tra i diversi software adottati negli studi professionali e dotarsi di strumenti che agevolino l’interazione con la Pubblica Amministrazione, sempre più digitale.
Da questa basi può partire un processo di aggregazione, il cui scopo principale è raggiungere un target più ampio di clienti ai quali offrire i propri servizi, con la consapevolezza di dover mettere a disposizione dei propri clienti i servizi altri, in un’ottica di condivisione e di spinta alla specializzazione.