Giustizia tributaria, la trattazione scritta obbligatoria è incostituzionale
Per affrontare l’emergenza sanitaria in corso il decreto Ristori ha disposto, all’art.27, D.L. n. 137/2020, che le controversie fissate per la trattazione in pubblica udienza siano invece decise sulla base degli atti, e quindi con trattazione scritta, salvo che almeno una delle parti non insista per la discussione e presenti, almeno due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione, apposita istanza da notificare alle altri parti costituite.
In questo caso, le udienze pubbliche e camerali partecipate potranno svolgersi con collegamento da remoto, ferma restando la preventiva autorizzazione del Presidente della Commissione Tributaria (Provinciale o Regionale, in base alla competenza) con decreto motivato da comunicare almeno 5 giorni prima della data fissata per un’udienza pubblica o una camera di consiglio.
Nel caso in cui non sia possibile avvalersi delle modalità telematiche, si procederà mediante trattazione scritta, ossia fissando un termine non inferiore 10 giorni prima dell’udienza per il deposito delle memorie conclusionali e di 5 giorni prima dell’udienza per le memorie di replica. Se non fosse possibile rispettare tali termini, la controversia è rinviata a nuovo ruolo, sempre con la possibilità di prevedere la trattazione scritta.
Udienza a distanza: applicazione ancora poco uniforme
Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, con la delibera n. 1230/2020, ha approvato all’unanimità delle linee guida specifiche per uniformare sul territorio nazione l’attuazione della disciplina appena descritta. Nonostante ciò, i difensori tributari si trovano quotidianamente ad avere con decreti presidenziali che autorizzano diverse modalità di svolgimento delle udienze nelle varie Commissioni Tributarie.
Ad esempio, in alcuni casi si prevede obbligatoriamente la trattazione scritta per tutte le controversie, in altri tale modalità è prevista solo per le liti il cui valore ex art. 12, comma 2, secondo periodo, D.Lgs. n. 546/1992 non superi una certa somma (come i 20.000 euro previsti dall’art. 70, comma 10-bis, D.Lgs. n. 546/1992 in relazione alla composizione del collegio cui sia demandato il giudizio di ottemperanza).
Trattazione scritta nel processo tributario: evitare gli automatismi
Nonostante il valore della liti possa essere, in astratto, un parametro utile per individuare le controversie di maggior importanza, è opportuno osservare come né l’art. 27 del decreto Ristori né la delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 1230/2020 prevedano dei criteri quantitativi di tal specie per delimitare il perimetro dei provvedimenti da trattare con udienze pubbliche di discussione e delle udienze camerali partecipate da effettuare con collegamento da remoto.
Inoltre, se da una parte la delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 1230/2020 menziona il valore della lite come criterio di valutazione alla base della scelta, tale criterio è solo uno dei molti parametri proposti (tra cui rilevanza, novità, complessità della questione, numero di documenti e “quant’altro ritenuto utile”) ai fini della valutazione delle istanze di discussione orale.
Bisogna poi sottolineare che le indicazioni del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, pur rappresentando un atto di indirizzo utile per rendere il più possibile uniforme a livello nazionale l’operatività delle Commissioni tributarie, non hanno efficacia cogente e quindi possono essere disattese se non condivise nel merito; inoltre tale disposizioni non sono suscettibile di applicazione massiva, ma devono essere adattate alle singole specificità di ogni provvedimento, attraverso l’esame del fascicolo istruttorio da parte del Collegio giudicante.
A tale considerazione deve essere affiancato poi quanto previsto dall’art. 16, comma 4, D.L. n. 119/2018, che prevede che per la concreta attuazione delle udienze mediante collegamento da remoto sia sufficiente la mera istanza di parte, senza ulteriori valutazioni da parte del Collegio giudicante.
Appare perciò evidente come una diversa soluzione, anche per i soli procedimenti trattati nel corso dell’emergenza sanitaria, causerebbe una disparità di trattamento irragionevole. Tale considerazione trova conferma a livello sistematico anche nell’art. 33, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, dove si prevede che la discussione in pubblica udienza sia determinata dalla mera istanza di almeno una delle parti, senza che le altre possano opporsi e senza che il collegio giudicante o il presidente siano coinvolti in una valutazione discrezionale.
Trattazione scritta obbligatoria e incostituzionalità
La trattazione scritta obbligatoria determinerebbe un’altra limitazione alla residuale oralità di un processo già strutturalmente documentale, tale da determinare un danno ai diritti di rango costituzionale, come il diritto di difesa ex art. 24 Cost., i principi di solidarietà e di capacità contributivaex articoli 2 e 53 Cost. e il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione ex art. 97 Cost.
Per interpretare l’art. 27 del decreto Ristori in modo coerente e costituzionalmente uniforme si dovrebbe quindi autorizzare lo svolgimento delle udienze pubbliche di discussione e delle udienze camerali partecipare con collegamento da remoto su mera istanza di parte e senza limitazioni; sarebbe inoltre opportuno prevedere, nel caso in cui l’udienza a distanza non fosse praticabile, la disposizione, sempre su istanza di parte, del rinvio a nuovo ruolo, ossia a una data successiva alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria, così da permettere la discussione in presenza.
Il dialogo tra le parti e il collegio giudicante attraverso una discussione orale, che sia in presenza o a distanza, è infatti fondamentale nel giudizio tributario, in quanto permette di far emergere eventuali fraintendimenti e di sciogliere dubbi in punto di diritto e di fatto.
L’imposizione della trattazione scritta, invece, può pregiudicare la strategia difensiva delle parti, così come ha affermato anche il Consiglio di Stato nell’ordinanza del 21 aprile 2020, n. 2539, nella quale accoglie un’istanza di rinvio della trattazione della camera di consiglio cautelare per permettere la discussione orale. Secondo i giudici, infatti, “il contraddittorio cartolare «coatto» – ossia importo anche contro la volontà delle parti che invece preferirebbero rimandare la causa a una data successiva al termine della fase di emergenza per potersi confrontare direttamente con il giudice – non appare una soluzione ermeneutica compatibile con i canoni della interpretazione conforme a Costituzione, che il giudice comune ha sempre l’onere di esperire con riguardo alla disposizione di cui deve fare applicazione. […] Il contraddittorio cartolare «coatto» costituirebbe una deviazione irragionevole rispetto allo “statuto” di rango costituzionale che si esprime nei principi del «giusto processo»”, da momento che:
“il comma 2 dell’art. 111 della Costituzione, nello stabilire che il «giusto processo» – qualsiasi processo – debba svolgersi «nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità», impone, non solo un procedimento nel quale tutti i soggetti potenzialmente incisi dalla funzione giurisdizionale devono esserne necessariamente “parti”, ma anche che queste ultime abbiamo la possibilità concreta di esporre puntualmente (e, ove lo ritengano, anche oralmente) le loro ragioni, rispondendo e contestando le quelle degli altri”;
“lo stesso art. 24 della Costituzione – comprendendo, oltre al diritto di accesso al giudizio, anche il diritto di ottenere dal giudice una tutela adeguata ed effettiva della situazione sostanziale azionata – non può che contenere anche la garanzia procedurale dell’interlocuzione diretta con il giudice”;
“il divieto assoluto di contraddittorio orale potrebbe rilevarsi un ostacolo significativo per il ricorrente che voglia provocare la revisione in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, della decisione resa dall’autorità amministrativa”, mentre, “sotto altro profilo, sarebbe evidente il contrasto con il principio della pubblicità dell’udienza” – con particolare riguardo al contenzioso “altamente tecnico” – perché “l’imposizione dell’assenza forzata, non solo del pubblico, ma anche dei difensori, finirebbe per connotare il rito emergenziale in termini di giustizia “segreta”, refrattaria ad ogni forma di controllo pubblico”.
Tali rilievi trovano conferma anche nelle argomentazioni a sostegno della ordinanza del 7 gennaio 2021, n. 11 della Commissione Tributaria Provinciale di Catania, che sollevava la questione di incostituzionalità dell’art. 33, D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui prevede che il contraddittorio si svolga tramite lo scambio di memorie ogni volta in cui nessuna delle parti chieda la pubblica udienza, per violazione degli articoli 101, 111 e 136 Cost.
Per quanto riguarda la violazione dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost., si ritiene che la parte portatrice dell’interesse pubblico non possa rinunciare alla pubblica udienza, sia perché questo strumento garantisce la più ampia tutela giurisdizionale attraverso il contraddittorio processuale, sia perché l’indisponibilità dell’interesse pubblico escluderebbe la rinuncia in sede amministrativa all’attività processuale.
Infine, per quanto riguarda il vulnus dell’art. 101 Cost. il Giudice a quo rileva che “la pubblicità delle udienze tutela l’interesse pubblico di consentire al cittadini, e quindi al popolo, di conoscere dei procedimenti giudiziari”, interesse che non può essere superato da quello di economia processuale.
Di Jessica|2021-03-08T17:23:26+01:00Marzo 8th, 2021|Guide, Mondo commercialista|Commenti disabilitati su Giustizia tributaria, la trattazione scritta obbligatoria è incostituzionale